| Fra Giovanni da Pian di Carpine nell’opera di Giambattista Casti IL POEMA TARTARO (1787) "Sulle orme di Giovanni tra poesia, musica ed immagini”
(...) Al campo giunse allor di Battù-Kano in qualità d’ambasciator papale Frà Giovan Pian-Carpino francescano Che con autorità pontificale Dovesse indurlo a farsi cristiano, E al popolo fedel non far più male: Con facoltà, secondo le occorrenze, Di sfoderar scomuniche o indulgenze. Nel fior degli anni suoi più verde e fresco, Non avendo tre lustri ancor compito, Pian-Carpin prese l’abito fratesco E si fé francescano, e favorito E amico diventò di san Francesco (...)
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| "IL POEMA TARTARO” - Giambattista Casti, 1787
Nel "Poema Tartaro”, scritto da Giambattista Casti nel 1787, il nome "Pian Carpino” (riferito ovviamente a fra’ Giovanni da Pian di Carpine) compare in numerose pagine, tanto da poter affermare che il frate francescano è uno dei protagonisti del poema. Scritto in ottava rima sul modello de "l’Orlando furioso” e "La Gerusalemme Liberata”, si divide in dodici canti. In molti versi il Casti riesce ad esprimere il suo ingegno poetico e un’invidiabile nobiltà di linguaggio, ma viene rimproverato nella maggior parte dei suoi scritti di inosservanza della morale, di evidenziare maggiormente il vizio, e di avere atteggiamenti discutibili verso la religione.
Scritto nel 1787, durante il suo periodo alla corte di Caterina II, il "Poema Tartaro” ha una condotta regolare, l’intreccio è adorno di piacevoli episodi e di assennate riflessioni, pur scadendo a volte nella volgarità. I personaggi del poema incarnano in realtà le personalità della corte di San Pietroburgo con in testa la zarina Caterina II. Pur riconoscendone la bontà d’animo e la gentilezza delle maniere, il Casti ne sottolinea la tendenza agli amori un po’ facili. Di lei diceva in un sonetto: "Fibra sempre sensibile al piacere, avuti avea quindici o sedici amanti”. Sembra che la zarina non se la fosse presa più di tanto per la libertà di linguaggio usata dal Casti. Ella perdonò una volta un soldato che l’aveva pubblicamente chiamata sgualdrina. Rivolta ai circostanti disse sorridendo: "Chi sa che non abbia detto il vero”. Quindi con dignità soggiunse: "Caterina non si cura di queste dicerie”. Ma, anche a seguito delle rimostranze dell’ambasciatore russo, l’imperatore Giuseppe II, grato a Caterina II per l’accoglienza ricevuta, licenziò il Casti assegnandogli una lauta pensione. Il poeta la rifiutò e si recò a Parigi per vivere i suoi ultimi giorni.
Morì povero; non era né cupido né ambizioso, e forse fu men tristo della fama.
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