eventi e feste

P. PAGANA, Segavecchia e carnevale a Magione nel XX Secolo, Magione 2002.


Magione
SEGAVECCHIA
Il Segavecchia è un antico rituale che affonda le radici in epoca pre-cristiana e si tratta di un vero e proprio rito propiziatorio i cui elementi, che assumono uno specifico significato nel contesto dei nuclei agricoli, tendevano ad incrementare la rinascita della natura tramite il significato di ciò che è vecchio e, di conseguenza, deve morire per permettere il suo stesso rinnovamento. Si svolge a metà Quaresima, cioè nel momento in cui l’inverno lascia spazio alla primavera, e sottolinea la fine di una fase e l’inizio di una nuova, la fine del vecchio, del male, della morte che appartengono ad un ciclo ormai concluso per permettere la purificazione e l’avvento del nuovo tramite la distruzione pubblica dei precedenti malanni. Esso può essere concepito dunque come un rito di eliminazione e purificazione attraverso il quale favorire l’avvento della nuova stagione. In questo segna il risveglio della natura dopo la pausa invernale.
La vecchia incarna tutti gli aspetti negativi della stagione passata e perciò paga con la sua stessa vita e, il fatto che dopo essere stata "segata” torni a vivere, simboleggia il ritorno alla vita dopo la pausa invernale. Nella tradizione umbra, la vecchia appare, all’inizio, come una quercia che va abbattuta, proprio perché vecchia. Ciò permette di individuare la simbologia della morte e della rinascita della vegetazione. Il linguaggio usato è volutamente osceno, perché attraverso la licenziosità dello stesso è facile cogliere il sorriso, lasciar sfogare la gioia; questo è importante per la superstizione popolare poiché se non vi fosse l’ilarità durante la rappresentazione, i raccolti andrebbero male, l’annata agricola non avrebbe un esito felice. Il contenuto della farsa è piuttosto semplice; il gruppo, arrivato davanti ad una casa colonica, chiede, cantando, al capofamiglia di entrare. Ricevuto il permesso, può dare inizio alla rappresentazione che si svolge in cucina o in una grande stanza.
A Magione, come in altre parti dell’Umbria, al centro dell’attenzione c’è una grande quercia, molto vecchia, da abbattere, ragine per cui i personaggi sono legati all’ambiente boschereccio ed alle attività che in esso possono svolgersi. Protagonista, assieme alla vecchia, è il padrone del bosco che cerca manodopera per il lavoro di abbattimento della quercia. Uno dopo l’altro entrano in scena i due segantini che, accordatisi con il proprietario, cominciano a colpire ai piedi la quercia-vecchia fino ad abbatterla.
Il vecchio che entra in scena disperato per il fatto di non ritrovare la propria sposa, quando riconosce la stessa nella quercia stesa al suolo comincia a lamentarsi; successivamente si reca, cavalcando in malo modo un asino, a chiamare il dottore. Questi, costatato lo stato della vecchia, preso atto delle varie ferite diffuse su tutto il corpo, manda a chiamare i carabinieri. Il maresciallo giunge sul posto accompagnato da un carabiniere ed interroga i presenti. La vecchia, che nel frattempo è peggiorata, necessita di ben altra attenzione. Il prete, chiamato, entra in scena insieme al sacrestano per confortare l’inferma con l’estrema unzione. Il tutto si svolge in modo estremamente burlesco ed i personaggi si esprimono in un linguaggio quanto mai licenzioso. La vecchia è sul punto di morire ma, quando tutti sono pronti a piangere la sua fine, lei, improvvisamente, si alza in piedi e comincia a ballare allegramente assieme al vecchio ed agli altri protagonisti dello spettacolo. Al suono della fisarmonica, finita la rappresentazione, tutti gli "attori” cantano in coro per esprimere il proprio ringraziamento al padrone di casa ed a tutti coloro che hanno assistito allo spettacolo. Nel frattempo, il reggitore del canestro raccoglie le varie "offerte”. A Magione, la vecchia, risuscitata, viene portata via dal diavolo. Nel corso del tempo il significato simbolico è andato scomparendo per lasciare spazio al puro divertimento.


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